Alighiero Boetti (Torino, 16 dicembre 1940 – Roma, 24 aprile 1994) è stato uno dei maggiori artisti italiani del secondo dopoguerra. Accanto ad altri importanti nomi come: Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio, ha fatto parte, negli anni Sessanta, del gruppo Arte Povera, dal quale però si è distaccato precocemente.
Le sue opere più celebri sono arazzi di diverso formato in cui sono inserite, suddivise in griglie, frasi e motti inventati dall'artista (per es. Il progressivo svanire della consuetudine, Dall'oggi al domani, Creare e ricreare, Non parto non resto, ecc).
La sua attitudine all'arte ha influenzato artisti di differenti generazioni, da Francesco Clemente a Maurizio Cattelan. All'estero l'eredità del suo lavoro ha lasciato segni profondi nelle opere del messicano Gabriel Orozco e nelle riletture della recente storia dell'arte dell'inglese Jonathan Monk, il quale sembra provare per Boetti un'autentica ammirazione.
Boetti propone a sé stesso dei sistemi nei quali agire, spesso coinvolgendo altre persone. Oppure sono la geografia, la matematica, la geometria, i servizi postali, a fornire la piattaforma delle proprie scelte. Il suo lavoro mette in discussione il ruolo tradizionale dell'artista, interrogando i concetti di serialità, ripetitività e paternità dell'opera d'arte.
Dopo l'opera Gemelli il filo comune che lega molti suoi lavori è sottendere nel processo creativo un dualismo di intenti. Questo avviene specialmente dopo la sperimentazione con i materiali poveri quando Boetti si trasferisce nella capitale e decide di ripartire veramente da qualcosa di semplice, una matita e un foglio di carta quadrettato.
I meccanismi che inventerà per i suoi lavori sono strutture di pensiero applicabili alle cose senza potersi esaurire. Una volta reso chiaro il principio che li genera si staccano da schemi soggettivi e permettono la libertà di autogenerarsi come le cose della natura.
Alighiero Boetti ha visto la pittura come un "tradimento" verso gli ideali (artistici e politici) esplosi nel Sessantotto: dipingere rappresenta una sorta di distacco dal mondo reale da guardare con disprezzo, per chi - come lui - si sente direttamente coinvolto dal presente e dalla cronaca.[1]
Il mercato del collezionismo d'Arte Contemporanea lo ha esaltato nell'ultimo decennio, ponendo la totalità delle sue opere anche al definitivo rango di investimento finanziario. In questo senso quotazioni in continua crescita hanno interessato in sedi d'aste internazionali l'intera gamma della sua produzione artistica.
Le opere realizzate dall'artista torinese, per maggiore chiarezza ai miei visitatori del Blog, possono essere suddivise in quattro periodi:
1964 - 1969 dai lavori a china alla prima stagione dell'arte povera;
1970 - 1979 dai lavori postali a quelli basati su schemi geometrici e matematici, ai primi arazzi e Mappe del mondo;
1980 - 1989 dalle composizioni su carta ai grandi arazzi del ciclo "Tutto";
1990 - 1994 dai Fregi per la Biennale di Venezia ai grandi tappeti kilim, alla scultura autoritratto "Mi fuma il cervello".
ALIGHIERO e BOETTI Opere 1980-1989
(periodo da me preferito)
Negli anni '80 si intensifica la produzione dei lavori su carta, in cui Boetti crea un microcosmo di immagini e iscrizioni. Molte di queste carte sono una sorta di diario sul quale l'artista appunta date, pensieri, riflessioni. Le frasi sono sempre scritte con la mano sinistra in quanto per l'artista "scrivere con la sinistra è disegnare".
Spesso le carte presentano riferimenti a immagini di opere precedenti, con collage di elementi fotografici o serigrafici.
L'iconografia autoreferenziale di "Due mani e una matita" ritorna come base serigrafica in diverse opere, tra cui quelle della serie "Tra sé e sé".
In "Afghanistan" l'artista pone al centro della composizione - tra sé e sé - una forma in inchiostro nero contenente le sagome dello stato dell'Afghanistan. Questo è un omaggio che Boetti fa a questo paese, che aveva eletto a suo paese adottivo e nel quale aveva soggiornato a più riprese a partire dal 1971, e che in seguito all'occupazione da parte delle armate sovietiche nel 1980 non avrebbe più potuto visitare.
Come a contrastare questo sentimento di tristezza, Boetti dà vita ad un nuovo ciclo di opere coloratissime, "La natura, una faccenda ottusa". Sono tecniche miste in cui è spesso predominante l'uso del collage di piccole carte veline dipinte e ritagliate con la forma di animali: rane, tartarughe, scimmie, felini, pesci.
Prosegue parallelamente la realizzazione delle opere a biro su carta demandata agli assistenti, mentre rallenta la produzione degli arazzi e delle mappe, che fino al 1983 saranno ancora ricamati a Kabul da poche donne. Costantemente prosegue il lavoro di aggiornamento delle bandiere delle mappe conseguentemente ai cambiamenti della situazione geo-politica.
Dal 1984-85 i ricami verranno ripresi dalle donne afghane rifugiatesi a Peshawar in Pakistan.
Di questi anni sono le "Copertine" che ripercorrono mese per mese le prime pagine delle maggiori testate internazionali relative all'anno in corso.
Nella seconda metà degli anni '80 ha un forte impulso il lavoro dedicato agli arazzi di piccola e grande dimensione.
Alle lettere che compongono le frasi in lingua italiana disposte in quadrato si aggiungono alcuni testi in lingua inglese, francese, tedesca, giapponese, in particolare riferiti ai numeri e alle tavole pitagoriche.
Aumenta la complessità della composizione degli arazzi di grande formato, dove la struttura delle griglie e lo scorrimento dei testi assumono numerose varianti, sempre basate sullo studio dei quadrati e dei numeri. E' necessaria quindi una maggiore attenzione per riuscire a leggerli.
Su alcuni questi ricami sono inserite iscrizioni in lingua afghana (farsi), con brani di poesie o frasi di ringraziamento rivolete dalle ricamatrici all'artista - datore di lavoro (da loro chiamato "Ali Ghiero").
Intorno al 1988 inizia un nuovo ciclo di grandi arazzi ricamati, denominati "Tutto". Queste opere fanno riferimento ad un gruppo di opere precedenti intitolate "Pack".
I "Tutto" vengono realizzati da Boetti con l'aiuto dei suoi assistenti con l'obiettivo di occupare l'intera superficie della tela da ricamare con elementi figurali di ogni tipo fittamente accostati.
Anche qui Boetti cerca di limitare il suo intervento manuale diretto, come anche per la scelta dei colori, lasciata - salvo alcune regole e criteri decisi alla base - alle ricamatrici.
L'artista dichiara al "Corriere della Sera" del 19 gennaio 1992:"Per non creare gerarchie tra i colori li uso tutti. Il mio problema infatti è di non fare scelte secondo il mio gusto ma d'inventare sistemi che poi scelgono per me".
Le sue opere più celebri sono arazzi di diverso formato in cui sono inserite, suddivise in griglie, frasi e motti inventati dall'artista (per es. Il progressivo svanire della consuetudine, Dall'oggi al domani, Creare e ricreare, Non parto non resto, ecc).
La sua attitudine all'arte ha influenzato artisti di differenti generazioni, da Francesco Clemente a Maurizio Cattelan. All'estero l'eredità del suo lavoro ha lasciato segni profondi nelle opere del messicano Gabriel Orozco e nelle riletture della recente storia dell'arte dell'inglese Jonathan Monk, il quale sembra provare per Boetti un'autentica ammirazione.
Boetti propone a sé stesso dei sistemi nei quali agire, spesso coinvolgendo altre persone. Oppure sono la geografia, la matematica, la geometria, i servizi postali, a fornire la piattaforma delle proprie scelte. Il suo lavoro mette in discussione il ruolo tradizionale dell'artista, interrogando i concetti di serialità, ripetitività e paternità dell'opera d'arte.
Dopo l'opera Gemelli il filo comune che lega molti suoi lavori è sottendere nel processo creativo un dualismo di intenti. Questo avviene specialmente dopo la sperimentazione con i materiali poveri quando Boetti si trasferisce nella capitale e decide di ripartire veramente da qualcosa di semplice, una matita e un foglio di carta quadrettato.
I meccanismi che inventerà per i suoi lavori sono strutture di pensiero applicabili alle cose senza potersi esaurire. Una volta reso chiaro il principio che li genera si staccano da schemi soggettivi e permettono la libertà di autogenerarsi come le cose della natura.
Alighiero Boetti ha visto la pittura come un "tradimento" verso gli ideali (artistici e politici) esplosi nel Sessantotto: dipingere rappresenta una sorta di distacco dal mondo reale da guardare con disprezzo, per chi - come lui - si sente direttamente coinvolto dal presente e dalla cronaca.[1]
Il mercato del collezionismo d'Arte Contemporanea lo ha esaltato nell'ultimo decennio, ponendo la totalità delle sue opere anche al definitivo rango di investimento finanziario. In questo senso quotazioni in continua crescita hanno interessato in sedi d'aste internazionali l'intera gamma della sua produzione artistica.
Le opere realizzate dall'artista torinese, per maggiore chiarezza ai miei visitatori del Blog, possono essere suddivise in quattro periodi:
1964 - 1969 dai lavori a china alla prima stagione dell'arte povera;
1970 - 1979 dai lavori postali a quelli basati su schemi geometrici e matematici, ai primi arazzi e Mappe del mondo;
1980 - 1989 dalle composizioni su carta ai grandi arazzi del ciclo "Tutto";
1990 - 1994 dai Fregi per la Biennale di Venezia ai grandi tappeti kilim, alla scultura autoritratto "Mi fuma il cervello".
ALIGHIERO e BOETTI Opere 1980-1989
(periodo da me preferito)
Negli anni '80 si intensifica la produzione dei lavori su carta, in cui Boetti crea un microcosmo di immagini e iscrizioni. Molte di queste carte sono una sorta di diario sul quale l'artista appunta date, pensieri, riflessioni. Le frasi sono sempre scritte con la mano sinistra in quanto per l'artista "scrivere con la sinistra è disegnare".
Spesso le carte presentano riferimenti a immagini di opere precedenti, con collage di elementi fotografici o serigrafici.
L'iconografia autoreferenziale di "Due mani e una matita" ritorna come base serigrafica in diverse opere, tra cui quelle della serie "Tra sé e sé".
In "Afghanistan" l'artista pone al centro della composizione - tra sé e sé - una forma in inchiostro nero contenente le sagome dello stato dell'Afghanistan. Questo è un omaggio che Boetti fa a questo paese, che aveva eletto a suo paese adottivo e nel quale aveva soggiornato a più riprese a partire dal 1971, e che in seguito all'occupazione da parte delle armate sovietiche nel 1980 non avrebbe più potuto visitare.
Come a contrastare questo sentimento di tristezza, Boetti dà vita ad un nuovo ciclo di opere coloratissime, "La natura, una faccenda ottusa". Sono tecniche miste in cui è spesso predominante l'uso del collage di piccole carte veline dipinte e ritagliate con la forma di animali: rane, tartarughe, scimmie, felini, pesci.
Prosegue parallelamente la realizzazione delle opere a biro su carta demandata agli assistenti, mentre rallenta la produzione degli arazzi e delle mappe, che fino al 1983 saranno ancora ricamati a Kabul da poche donne. Costantemente prosegue il lavoro di aggiornamento delle bandiere delle mappe conseguentemente ai cambiamenti della situazione geo-politica.
Dal 1984-85 i ricami verranno ripresi dalle donne afghane rifugiatesi a Peshawar in Pakistan.
Di questi anni sono le "Copertine" che ripercorrono mese per mese le prime pagine delle maggiori testate internazionali relative all'anno in corso.
Nella seconda metà degli anni '80 ha un forte impulso il lavoro dedicato agli arazzi di piccola e grande dimensione.
Alle lettere che compongono le frasi in lingua italiana disposte in quadrato si aggiungono alcuni testi in lingua inglese, francese, tedesca, giapponese, in particolare riferiti ai numeri e alle tavole pitagoriche.
Aumenta la complessità della composizione degli arazzi di grande formato, dove la struttura delle griglie e lo scorrimento dei testi assumono numerose varianti, sempre basate sullo studio dei quadrati e dei numeri. E' necessaria quindi una maggiore attenzione per riuscire a leggerli.
Su alcuni questi ricami sono inserite iscrizioni in lingua afghana (farsi), con brani di poesie o frasi di ringraziamento rivolete dalle ricamatrici all'artista - datore di lavoro (da loro chiamato "Ali Ghiero").
Intorno al 1988 inizia un nuovo ciclo di grandi arazzi ricamati, denominati "Tutto". Queste opere fanno riferimento ad un gruppo di opere precedenti intitolate "Pack".
I "Tutto" vengono realizzati da Boetti con l'aiuto dei suoi assistenti con l'obiettivo di occupare l'intera superficie della tela da ricamare con elementi figurali di ogni tipo fittamente accostati.
Anche qui Boetti cerca di limitare il suo intervento manuale diretto, come anche per la scelta dei colori, lasciata - salvo alcune regole e criteri decisi alla base - alle ricamatrici.
L'artista dichiara al "Corriere della Sera" del 19 gennaio 1992:"Per non creare gerarchie tra i colori li uso tutti. Il mio problema infatti è di non fare scelte secondo il mio gusto ma d'inventare sistemi che poi scelgono per me".
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